Concetto, però, non era niente affatto femmina, anzi lui non sapeva neanche che per lo Stato era un individuo diverso da come appariva. E non se ne avvide se non quando divenne adulto. Per dirla tutta, Concetto aveva sofferto non poco l’imposizione di quel nome piuttosto raro, vuoi perché appunto raro, vuoi perché i suoi compagni di scuola si burlavano di lui.

“Concetto, Concettino…” lo deridevano i più clementi; i più feroci gli dicevano di essere una femmina travestita da maschio e per farsi burle proprio Concetta lo chiamavano. A Concetto, però, quei continui sberleffi non facevano né caldo né freddo. Tirava dritto per la sua strada, rassegnato a portarsi quel nome dopo una furibonda lite con il padre, al quale aveva chiesto perché l’avesse chiamato Concetto e per di più Maria. “In onore delle tue due nonne, che si chiamavano una Concetta e l’altra Maria” gli aveva risposto. “Io le mie nonne non le ho neanche conosciute” fu la replica stizzita, alla quale seguì un paterno e sonoro ceffone a futura memoria. Concetto non ne fece più parola.

A quell’epoca gli uomini a cinquant’anni erano considerati vecchi; e, infatti, a quell’età Cosimo passò a miglior vita contribuendo a mantenere stabile l’età media nazionale della popolazione maschile. La madre Carmelina, che di anni ne aveva cinque più del marito, pensò bene anch’ella di lasciare questa vita terrena, per congiungersi beatamente ai santi che aveva venerato per tutta la sua esistenza. Al povero Concetto, non ancora ventenne, toccò smettere gli studi da geometra e trovarsi un lavoro. Con il gruzzolo racimolato dalla vendita dell’officina paterna, pensò di emigrare a Torino, dove si raccontava che la vita fosse facile per quelli che avevano voglia di lavorare. E Concetto di voglia ne aveva tanta. 

La sorpresa venne quando dovette fare il trasferimento di residenza. All’anagrafe della città piemontese l’impiegato sgranò gli occhi vedendo i documenti che erano stati trasferiti da Roccafelice. 

«Mi scusi, sa, ma è sicuro che lei sia proprio lei?» chiese l’impiegato.

«E chi dovrei essere, scusi?» replicò con un po’ di agitazione Concetto.

«No, perché…veda eh, ma qui dice che lei è…No, aspetti, mi faccia chiarire con il mio superiore» farfugliò frettolosamente l’impiegato, scomparendo dietro una vetrata smerigliata.

Trascorsero diversi minuti, alla fine dei quali dalla medesima vetrata sbucò un ometto, calvo e baffuto, con occhialini da presbite al naso.

Il capufficio squadrò Concetto da capo a piedi.

«Scusi, ce l’ha un documento d’identità lei?» chiese scrutando il ragazzo come se fosse una scimmia e non un uomo bell’e fatto.

«No, non ce l’ho!»

«Come! Lei va in giro senza carta d’identità? E se la ferma la Polizia?»

Concetto fece spallucce.

«Boh! Nessuno mi ha mai fermato.»

«Ah capisco! Ma mi scusi neh! Lei quanti anni ha?»

«Ho compiuto 21 anni il 12 dicembre scorso.»

«E non ha ricevuto la cartolina per il CAR?»

«No, non ancora!»

 «E non si è chiesto perché? Forse l’hanno riformata? Non si direbbe, visto che lei mi pare in ottima salute?»

Concetto iniziava a irritarsi per quel surreale terzo grado.

«Insomma, mi dice che problemi ci sono?»

Negli occhi dell’ometto balenò un lampo di vittoria.

«Se non l’hanno chiamata al CAR e non è stato riformato, vuol dire che lei non è nelle liste di leva, giusto? E quindi cosa ne deduce?»

«E che ne so! Me lo dica lei» sbottò Concetto.

Il capufficio si schiarì la voce prima di parlare.

«Senta, signorina, suppongo che lei sappia benissimo…» iniziò a dire, fermato subito da Concetto.

«Eh? Cosa? Signorina? Ha detto ‘signorina’? A me?» disse trattenendo a fatica una risata che però sarebbe suonata come irriverente nei confronti di un pubblico ufficiale.

Qualcuno fu attratto da quel dibattito. Il capufficio pensò bene di far accomodare il sempre più sbalordito Concetto nel suo ufficio dietro il vetro smerigliato.

«Legga qui, signorina, prego, ma si accomodi per favore» disse con falsa gentilezza il capufficio.

Concetto iniziò la lettura dei documenti ufficiali giunti da Roccafelice.

«Concetta? Come mia nonna! Mi ha messo il nome di sua madre anche se mi chiamava Concetto. Ora mi spiego tante cose» esclamò a denti stretti il ragazzo, guardando la parete nuda, quasi a volerci scorgere il padre.

I due funzionari si guardarono perplessi, non sapendo come dipanare il pasticcio.

«Ma qui c’è un errore madornale! Io mi chiamo Concetto Maria. Lo so che è un nome improbabile, ma io che ci posso fare? Dovete cambiarmi nome, a tutti i costi!» protestò il ragazzo.

Il capufficio lo guardò con uno sguardo di commiserazione.

«Guardi neh, non è solo una questione di nome, è che lei qui risulta essere una femmina! Noi dobbiamo dar retta ai documenti ufficiali. Non è mica come correggere il compito di uno scolaretto, sa!»

«Quindi, lei dà più retta a un pezzo di carta piuttosto che a chi le sta di fronte? Ma non vede che sono maschio? Che ho la barba, ho la voce profonda, ho pure il pomo d’Adamo, guardi, tocchi, tocchi» disse agitato Concetto, mostrando il pomo che mandava su e giù deglutendo forzosamente.

Non ricevendo risposta, Concetto si vide senza via d’uscita. 

«Ma che volete che lo tiri fuori per mostrarvi quello che ho tra le gambe da vent’anni?» urlò il ragazzo.

Il capufficio scuoteva il capo sconsolato.

«Mi creda, io non posso cambiarle i connotati anche se lei si chiamasse Priapo. Se qualcuno ha scritto “femmina” alla sua nascita, qualche motivo ci sarà pur stato. Per fare la modifica bisognerebbe fare indagini storiche, chiedere a suo padre…ah no, mi scusi, è deceduto…mi ha detto, vero? Allora qualche suo parente, l’ostetrica che l’ha fatta nascere, i registri originali del comune…com’è che si chiama? Ah sì, Roccafelice. Poi occorrono visite mediche, referti, insomma chi ci dice che lei sia nata femmina e poi per qualche motivo a me incomprensibile abbia cambiato sesso? Che ne so, un virus, una malattia genetica, una febbre, un sortilegio…»

Concetto non ne poteva più.

«Ma che sortilegio e sortilegio! Siamo seri! Di che malattie parla lei, come osa? Io sono sano come un pesce, li vede questi muscoli? Se volessi la potrei stendere a terra con un dito.»

«Che fa, minaccia ora? Io le ho detto quello che è evidente dai documenti. È lei che deve dimostrare non che ora è maschio, ma che è diventato maschio dopo essere nata femmina. Capito, bellezza?»

 

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