Vista dalla finestra della sua stanza, la città sembrava un grosso animale ferito da lunghe lame scintillanti. La finestra di fronte si era appena illuminata di quella luce fioca che ormai conosceva bene. Da quando erano tutti costretti a casa per il Covid, Sonia aveva notato al quarto piano del palazzo di fronte un vecchietto con i capelli raccolti a codino, così bianchi che alla luce del sole sembravano abbagliare. Uno splendido pappagallo colorato gli stava su una spalla, come Long John Silver nell’Isola del tesoro.  Quando i loro sguardi si erano incrociati, lui l’aveva salutata, ma lei non aveva risposto.

-Sarà un pedofilo- aveva pensato. 

Se l’avesse sentita Ben Alì! Lui non sopportava che avesse dei pregiudizi, perché tali erano, se ne rendeva conto ma solo a volte, quando rifletteva e le parole non le buttava come se fossero stati vuoti a perdere.

Ben Alì era tanto che non lo sentiva, né ne aveva più letto sul gruppo dei ragazzi della scuola. Era partito con suo padre e le aveva assicurato che era solo una visita ai nonni. Ben Alì era capace di comprendere, di essere tollerante, doti che né lei, né i suoi compagni avevano mai dimostrato di possedere. Aveva affrontato con coraggio tutte le sfide della sua integrazione. Lei aveva continuato a scrivergli in privato, speranzosa che si sarebbe fatto sentire.  Non poteva dimenticare le loro confidenze, che li aveva avvicinati e fatti sentire come fratelli.

La sua foto, quella che le donava un sorriso quando la guardava, da un giorno all’altro era sparita e al suo posto solo un’ombra bianca come la sabbia del deserto del Marocco, dove lo aveva perduto.

A sua madre non aveva riferito nulla del saluto del vecchietto. Si parlavano poco da quando suo padre era andato via. Una madre dovrebbe essere più amorevole verso la sua unica figlia, invece la faceva sentire in colpa per l’abbandono del padre.

-Non sopportava la tua malattia, credo che persino la tua presenza lo urtasse- così le diceva ogni volta che i loro discorsi finivano irrimediabilmente per coinvolgere il padre, con accenti del tutto negativi, e continuava sostenendo che nella sua famiglia nessuno aveva problemi come il suo.

-Ciò che gli altri pensano di noi si attacca come una seconda pelle, non te ne liberi più- aveva scritto sul diario l’ultima volta che aveva discusso con sua madre.

Lui aveva lasciato la casa una mattina qualsiasi, avvisandola di fare un salto al supermercato, senza portare via niente che potesse far sospettare un non ritorno, solo le chiavi dell’auto. Le aveva salutate come al solito, col suo  modo di fare spiritoso.

-Se incontro il corona gli dirò che preferisco la repubblica.

Era svanito anche l’odore del suo dopobarba dal bagno, che rimaneva a lungo fluttuante nell’aria di casa. A lui pensava ogni giorno.

-Non ho potuto godermi appieno la vita. Non credo che questo si possa fare da soli- rifletté ad alta voce.

Pensare che un padre possa allontanarsi perché sua figlia è malata è tristissimo. Una malattia rara, che nel giro di breve tempo ti fa vedere le cose intorno come avvolte nella nebbia. Uno dei suoi occhi ormai vedeva proprio così, l’altro resisteva. Poteva mettersi la benda come Long John… Sonia sorrise debolmente, sentiva un nodo stringerle la gola. Se ci fosse stato Ben Alì avrebbe sicuramente trovato le parole giuste per consolarla. La loro amicizia l’aveva risollevata da tanti momenti difficili. Capiva in quel frangente tutta la sua  importanza e ne sentiva la tremenda mancanza. 

Ora solo la scrittura la faceva stare un po’ meglio, quando l’ansia prendeva il sopravvento e si sentiva sola nella sua stanza sempre in ordine.

-Non posso continuare a fingere di essere tranquilla e serena quando in realtà non è così. Mi rifugio ancora in storie con un lieto fine illudendomi che un giorno anche io avrò la felicità- scrisse sul diario di cuoio rosso e ci disegnò un cavallino con cui avrebbe voluto fuggire per trovare un posto nel mondo dove si potesse sentire accolta e compresa. A 13 anni si dovrebbe ridere, scherzare, volare come un aquilone senza fili. Ricordò suo padre insegnarle a guidare la bicicletta, le cadute, lui che le porgeva la grande mano, così rassicurante. Appena fu abbastanza cresciuta l’aveva condotta con sé al poligono di tiro. Per lui era una passione infinita e avrebbe voluto farne una campionessa, così sperava.

Il suono dell’arrivo di un messaggio vibrò nella stanza. 

-Ciao So’ non farmi sclerare, tu che sei atomica mandami la parafrasi di domani. Ti lovvo!- Paola! Certo ci voleva una bella faccia tosta a chiedere proprio a lei, dopo che l’aveva chiamata abbelinata davanti ai compagni solo perché non fumava. 

-Ogni giorno sorridi, fai la carina come scritto nel copione, ma è sempre , sempre più difficile. Ecco come ti ripagano i compagni dopo che ti sei tanto prodigata per loro. Vale la pena dimenticare e far finta di niente- si accorse che stava alzando troppo la voce e sua madre avrebbe potuto sentirla.

Un’implacabile tristezza la avvolse, improvvisamente sentì un gran freddo, col quale scivolò lentamente nel sonno.

La mattina seguente un picchiettio insistente batteva contro i vetri della finestra. Sonia si alzò a guardare: sul davanzale della sua finestra si trovava un pappagallo dalle ali azzurre!

Scappato dal codino del quarto piano, possibile? Aperta la finestra il  pappagallo  si avventurò disinvolto nella stanza e si posò sull’armadio. Sul terrazzo di fronte nessuno… chiamò sua madre, mentre l’uccello l’osservava cianciando. La donna guardò l’animale incredula. Sonia le raccontò dell’anziano, del suo saluto, del pappagallo che portava sulla spalla e che ora era da loro. 

Un’ora dopo Giovanni, questo il nome dell’uomo, viaggiava verso l’ospedale scortato da due infermieri in tuta e maschera protettiva.

-Che dici avrà fame?-domandò Sonia alla madre.

La donna la guardò con tenerezza e l’avvolse in un abbraccio che aspettava da tanto.

Il pappagallo intanto era volato fino alla sedia, lanciando sul pavimento i suoi escrementi.

-E ora?

Sonia non rispose, si abbandonò all’abbraccio e chiuse gli occhi.

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