Il lago é uno specchio d'acqua boscoso quasi circolare, a pochi chilometri dalla città. Si puó vedere l'intero lago da ogni punto della riva ma é allo stesso tempo misteriosamente inavvicinabile, perché giace in una conca, circondata da un'alta foresta, che proietta le sue ombre crescenti sulla superficie dell'acqua per gran parte della giornata. Nessuno sa quanto sia profondo il lago, alcuni dicono addirittura che sia stato creato come foro d'impatto di un'antica cometa. Non ci importa. Siamo al lago quasi tutti i giorni dopo la scuola, sulla sua unica spiaggetta a sud, e siamo finalmente abbastanza grandi per fare quello che vogliamo, anche se viviamo ancora tutti con i nostri genitori. 

 

La prima volta che vidi Stefano Lanzara eravamo tutti e due magri e perplessi e cosí provvisori nelle nostre vite da stare a guardare come spettatori quello che ci succedeva. In questo ricordo ricostruito io sono in piedi sulla spiaggetta del lago a guardare i ragazzi e le ragazze schizzarsi e tuffarsi nell’acqua. Ho le mani in tasca e cerco disperatamente di assumere un atteggiamento di non appartenenza alla scena, anche se sono venuto con loro e ho fatto solo un quarto d’ora prima lo stesso percorso in bicicletta per arrivare. Ma ho sedici anni e odio i vestiti che ho addosso, odio il mio aspetto in generale, il mio viso pallido e l’idea di essere qui in questo momento. Osservo gli altri e non mi sembra infondo di essere meglio di loro ; quando li guardo vedo solo i miei difetti moltiplicati per decine di volte e ció accentua ancor di piú la mia insofferenza e la riflette su tutto. Alcuni di loro ora si rincorrono nell’acqua che arriva fino alle caviglie, le ragazze gridano euforiche, si schizzano e si fanno il solletico. Stefano Lanzara, rincorso da una di loro, avendo il volto girato all’indietro, mi arriva addosso, non riesco ad evitarlo e mi sbatte contro. É a un paio di metri da me e si preme una mano su un fianco, dice « mi arrendo » alla ragazza che lo segue. Ha piú o meno la mia etá, occhi chiari, capelli biondastri disordinati. Mi fissa, e il suo sguardo é pieno di irritazione, oltre che di estraneitá. Gli dico « mi dispiace », e tutto intorno gli altri continuano a giocare e spingersi e tuffarsi, tra risate, squittii e urla di gioia. Lui mi guarda e sorride appena, dice « non importa » e la sua voce é roca, da grande. « Sono Leo, piacere », gli dico, tendendogli la mano. Ce la stringiamo e la sua stretta é sicura, diretta, immediata é la simpatia e la curiositá che provo per lui. 

« Vieni in acqua anche tu ? », mi chiede. L’acqua é fredda, forse perché sono stato troppo tempo fermo al sole, ma é piacevole e ci tuffiamo e nuotiamo fino all'isola di legno. In questa ora del pomeriggio il colore del lago e della vegetazione circostante, volgendo al tramonto, diventa ambrato e crea un’atmosfera che ci accoglie con la nostra indeterminatezza adolescenziale. 

Stefano con la sua aria irregolare e romantica ha colpito le nostre compagne fin dal primo momento. Non ho ancora capito di chi é amico e con chi sia venuto. Fatto sta che sta lí con noi e sembra che ci sia sempre stato. Ha una disinvoltura e una familiaritá dimessa che persino molti adulti invidierebbero. Le ragazze gli girano intorno al minimo pretesto, si scavalcano in piccoli tentativi di occupare la sua attenzione, io le spio con la coda dell’occhio, lui sembra non accorgersene neppure. La sera giochiamo a pallavolo fino a quando non fa buio, e a volte ci tuffiamo di nuovo in acqua. Ma raramente, perché le ragazze hanno paura dei serpenti e delle zanzare che ogni anno ci fanno tornare a casa doloranti a causa dei numerosi morsi pruriginosi.

 

Dopo il nostro primo incontro io e Stefano Lanzara non ci siamo piú visti per mesi. Abbiamo scambiato solo i nostri nomi e non abbiamo fatto il minimo tentativo di rintracciarci a scuola. In questo periodo vivo in uno stato di torpore e continuo a fare le stesse cose in modo meccanico. É una sensazione di sonnolenza perenne, di riflessioni circolari, di mancanza di ritmo, di attesa, di discorsi imprecisi, di incontri rimandati, di scuse da dare ai genitori. Studio le materie scolastiche, latino, matematica, greco, senza capirne i codici interni a ogni materia, ascolto i professori parlare con il suono cantilenante delle loro spiegazioni e con la loro voce che li annoia nella stessa misura e intensitá con cui annoia noi alunni. Non vedo alternative o vie d’uscita alla mia vita e continuo ad andare avanti come un treno sulle sue rotaie.

 

 

 

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