Ho sempre detto che sarei partita un lunedì qualsiasi, di una settimana qualsiasi, di un mese qualsiasi. 

Ti avrei fatto una sorpresa al tuo bar preferito, dove scribacchi, mangiucchi, prendi il caffè e ti guardi intorno. Ma non sai quando e neppure io sapevo quando. 

Ora lo so. Perché oggi ho preso un treno e tu non lo sai. 

Nel mio immaginario sei alto magro e con i capelli ricci, ma é colpa tua perché l’unica foto che mi hai inviato era di un secolo fa. Anch’io ti ho inviato una foto di qualche anno fa, in cui dici che sembro scelta per il casting di un film di Bertolucci. 

Capisci?

Ci vuole un bel coraggio a buttare giù le maschere, uno stomaco pazzesco. 

Sappiamo da due foto postate, attuali o quasi, che io sono bionda e tu pepe e sale, entrambi in un gioco di chiaro scuri e mezzi profili tra cappelli, occhiali ed effetti speciali. Sarei anch’io pepe e sale, ma in genere non indago più di tanto sulla mia ricrescita. 

La forza dei social con la fragilità delle nostre vite infrante.

Prima di partire mi sono guardata almeno tre giorni allo specchio, davanti, dietro e di fianco. Ho tirato in dentro la pancia per vedere l’effetto che faccio con un paio di jeans nuovi e se un minimo di forme appetibili sono rimaste. Ridicolo. 

Noi aspiranti scrittori, poeti, intellettuali o pseudo intellettuali, romantici, appassionati, moderni trasgressivi e sperimentali. Un po' folli.

Ma facevamo così anche quando eravamo giovani.

Anzi sai cosa penso? Una volta sgonfiati, smascherati, dopo un primo impatto un po’ deludente, noi maturi ci facciamo sopra una risata.

Comunque ora sono mora e con la frangia. Si, mi sono tinta i capelli.

Ho pensato di prendere tempo, di giocare di anticipo, di studiarti da vicino, di essere lontana da quello che ti aspetti e provare a osservarti meglio. 

Non ho nulla del look sobrio che ti aspetti, ho il rossetto sgargiante, ciglia finta, stivali tacco dodici e gonna corta, ostento anche un po’ di aggressività e un pizzico di sciatteria, mastico visibilmente una gomma e ho deciso di giocarmi un accento romano periferico; magari al nord fa colpo. 
Entro nel tuo bar alle 12:30 precise.

Mi guardo intorno coppie di ragazzi con il computer, un paio di ragazze acqua e sapone, una coppia che prende un aperitivo. 

Il posto è carino, moderno civettuolo, con musica ‘giusta’ come piace a te.

Il barista mi guarda con l’aria sorniona, io azzardo con l’aria da vamp:

’Un caffè.’

Vedo un tipo alto e stempiato al di là del bancone che mi guarda con insistenza, dovrebbe avere la tua età. Un bel tipo.

Il barista gli da del tu e ca... Lo chiama proprio con il tuo nome ... forse è un caso... faccio la vaga, ma tu mi guardi;  Anzi mi sorridi e fissi.

Sei tu. Lo so. 

Guardo da un’altra parte, fai il vago pure tu, ma gli specchi a pannello non danno tregua e non distogli lo sguardo e ti ritrovo moltiplicato ovunque. 

Sento un caldo pazzesco. Che lenza sei!

Allora bevo il mio caffè e pago. 

- No - dice il barista - è già pagato.

Saluto, mi alzo e con passo veloce  vado verso l’uscita... echeggia nella sala un ticchettio fastidioso e inciampo. 

Mi giro e tu dietro. Che casino... questo è pericoloso... ritorno al bar e chiedo aiuto, mi raggiungi.

- Ehi, dove scappi. 

O mamma mia! Mi prende per un braccio... 

- Ma sei tu?- Mi ha chiamato proprio per nome.

-Sei mora? Come ti sei vestita? - 

Sei alto più di quello che mi aspettavo, mi prendi tra le braccia. sembra di entrare in un piumone dopo aver preso troppo freddo, invece è estate e indossi una t Shirt. 

- No… non sono io - balbetto.

Un bacio lungo, bello... sto per svenire ma preferisco esserci. 

In fondo questa nuova me stessa non mi dispiace affatto... e nemmeno tu.

- Stai bene anche mora - non smetti di baciarmi e neppure io. 
E le tue mani? Esplorano.

Anche perché ci siamo già detti tutto per due anni.

Profumi di coriandolo, menta, mandarino e dragoncello, muschio, cedro, salvia e mughetto, geranio di bourbon e un pizzico di cannella Ceylon, vetiver di Tahiti, sandalo e un fondo di tabacco... 

 

Tutta la mia collezione di profumi Jo Malone. 

Le serrande in camera mia sono semichiuse, Roma è vuota, riesco persino a sentire l‘acqua che scorre nella fontana in piazza.
Chiudo il computer... mi sono arresa al torpore pomeridiano, c'è una luce rosata che si spande sulle lenzuola. 
Pensavo tu fossi qui per un attimo.

Non può essere sono io che parto nel racconto.

Il finale non lo trovo. Magari domani.

 



 




 

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