Sergio Del Duca non impiegò molto ad ambientarsi nel nostro Ufficio. Il suo compito consisteva nell’approvvigionamento, presso l’ufficio centrale, dei valori bollati necessari alla vidimazione delle pratiche tramite un fondo cassa a disposizione dell’ufficio, e nel fare richiesta della modulistica, del materiale di cancelleria ed informatico. Pertanto godeva di una discreta libertà sia in sede che per uscire. Con i suoi modi un po’ ruffiani fu subito simpatico a tutti. Con me si tenne un po' sulle sue, forse perché avvertì quel pizzico di diffidenza nei suoi confronti che mi era rimasta e anche per la mia posizione di primo collaboratore del Dirigente. In generale, sono sempre stato diffidente nei confronti di tutti quelli che hanno il vizio del gioco e Del Duca era un appassionato di corse di cavalli; approfittava della libertà che gli consentiva il suo incarico e passava molto del suo tempo a consultare il giornale “Galoppo e Trotto” e a fare un salto alla sala scommesse. In questa sua passione coinvolse diversi colleghi che avevano iniziato, tramite lui, a fare qualche scommessa. Vantava di essere un esperto di cavalli e di avere amici nelle scuderie dell’ippodromo che gli passavano qualche “dritta”.

La moglie di Del Duca si era candidata alla carica di consigliere della municipalità in una lista civica. Del Duca, per tutto il periodo preelettorale si diede molto da fare nel distribuire santini con tanto di foto della signora che sfoggiava uno smagliante sorriso. Un giorno venne in ufficio e Del Duca la presentò a tutti. Era una bella donna e, a modo suo, simpatica. Dalle poche cose che disse ci convincemmo che si fosse candidata per assecondare il desiderio del marito, non potendolo fare personalmente, e che lei non avesse né la competenza né una vera passione per la politica. Le elezioni si sarebbero tenute ad aprile nel periodo che precede la Pasqua. Sergio iniziò a trafficare con confezioni di colombe artigianali di cui faceva dono ai colleghi che avevano assicurato il loro sostegno alla moglie. Il giorno successivo alla proclamazione degli eletti, Sergio si presentò in ufficio con due colombe e alcune bottiglie di spumante Ferrari per festeggiare l’elezione della consorte. Era l’ultima dei tre consiglieri eletti della sua lista, collocati all’opposizione nel parlamentino municipale. Io ed Augusto, dopo le dovute congratulazioni ci inventammo un impegno inderogabile e ci defilammo. 

Augusto entrò nel mio ufficio senza bussare né parlare e sedette alla poltroncina davanti alla mia scrivania; aveva la faccia scura delle grandi incazzature. Prima di chiarire il motivo della visita, si accese una delle mie sigarette, capii che stava mettendo a punto cosa dire, fece un paio di tiri sbuffando il fumo in aria, si schiarì la voce con un colpo di tosse e parlò: 

- “Mi ha chiamato Barbato dell’Ufficio economato centrale e mi ha fatto una strana domanda a cui non ho saputo rispondere. Mi ha chiesto come mai il nostro economo va quasi tutti i giorni in tesoreria a prendere i bollati in una quantità che basta appunto per un giorno, massimo due. La domanda che adesso io mi pongo è, perché con un fondo cassa che basta per un approvvigionamento di quasi un mese noi facciamo di queste figure da pezzenti?”

- “Io ho notato un certo abuso di servizi esterni, ma credevo che andasse a sbrigare fatti suoi, tipo un salto alla sala scommesse per qualche puntata su un cavallo, visto che ha coinvolto nel gioco mezzo ufficio. Ma ora credo che dovremmo controllare quanti soldi ci sono in cassa”. Risposi, mentre una voce dentro la mia testa mi rimproverava di non aver assecondato il mio istinto nel giudicare le persone al primo incontro.

Il Dirigente chiamò Del Duca dal telefono sul mio tavolo e gli comunicò che a fine giornata voleva fare, come da prassi, un rendiconto della disponibilità economica e dei valori bollati.

Mancavano quattro ore all’orario di uscita e io notai un certo movimento in ufficio: Sergio, entrava ed usciva da tutte le stanze più del solito.

Mancava circa un’ora all’orario di uscita, trovammo Del Duca seduto tranquillo alla sua scrivania, le maniche della camicia rimboccate e la cravatta allentata, l’armadio blindato della cassa già aperto e il libro contabile davanti a lui. Il fatto che erano registrati frequenti acquisti di valori bollati confermava quanto riferito dal responsabile dell’ufficio centrale, ma in cassa tra i contanti e i bollati i conti tornavano al centesimo.  Augusto chiese il motivo di questa modalità di approvvigionamento, ma ottenne solo risposte evasive al che il dirigente ordinò a Del Duca di cambiare sistema e di recarsi all’economato centrale non più di una volta a settimana, meglio se ogni dieci giorni. Uscimmo dall’ufficio lasciando Sergio con una faccia mortificata. Fuori la stanza notammo molti colleghi intrattenersi nei corridoi e mentre Augusto ed io ci allontanavamo, entrare nell’ufficio dell’economato. 

- “Andiamo a prenderci un caffè, poi dobbiamo fare un altro controllo”. Disse Ferri.

Quando ritornammo in ufficio e raggiungemmo la stanza di Del Duca, io bussai, ma Augusto entrò senza aspettare risposte e sbattendo di proposito la porta.

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