Il piccolo rettangolo illuminato del polveroso pavimento sembrava tutt’uno con la feritoia posta in alto sulla parete, legato ad essa dalla tenue colonna di luce solare proveniente dall’esterno.

 

Parte del pulviscolo sollevato dalla caduta dell’uomo, appena spinto nella stanza, vi danzava pigramente, roteando con lentezza ipnotica e indifferente. Intorno solo penombra.

 

Mentre passi pesanti di sandali si allontanavano accompagnati dal tintinnio di metallo contro metallo, l’uomo gettato a terra restò immobile. Solo il rantolo di un respiro doloroso lasciava intendere che non era morto.

 

«Quanto sei vivo?» chiese una voce proveniente dall’angolo più buio della segreta.

 

L’uomo alzò lentamente la testa e la rivolse verso la direzione da cui provenivano le parole. Lunghi capelli sporchi di polvere e macchiati di sangue si sciolsero sul collo.

 

«Chi sei? Non ti vedo. Non solo per la poca luce. I nostri cortesi invasori ci sono andati pesante… Da quanto tempo ti tengono qui?»

 

«Sei curioso. È un buon segno amico mio. Sei messo meno peggio di quanto sembri.»

 

L’uomo in terra appoggiò di nuovo il capo sul pavimento con un basso lamento. Dopo una pausa mormorò «Forse. Per ora non mi sembra proprio.»

 

Nella cella solo il pulviscolo nella colonna di luce continuò a muoversi.

 

***

 

L’uomo nell’angolo non aveva idea di quanto fosse passato dalle ultime parole al momento in cui l’altro si mosse di nuovo. La cella era quadrata e completamente vuota. Solo lo spostamento del rettangolo di luce testimoniava che il tempo, fuori, continuava ad avere un senso.

 

«Allora, che hai combinato per meritare l’ospitalità dei nostri premurosi occupanti? Hai osato discutere con qualcuno che conta? Magari hai preteso di mantenere un poco di dignità?» disse l’ultimo arrivato sollevandosi lentamente fino a sistemarsi in posizione seduta. «Continuo a non vederti. Ci sei ancora?»

 

«Tranquillo. Sono sempre qui e ci resterò ancora a lungo.» rispose la voce dall’angolo «Ma non per resistenza all’oppressore. E’ bene che tu sappia che hai a che fare solo con un povero ladruncolo. E neanche così bravo visto che mi hanno preso.»

 

Dopo una breve pausa continuò «Tu piuttosto che ci fai qui. Ti ho riconosciuto e so chi sei. Come mai il Procuratore ti ha portato qui, in una prigione così vicina al centro della città? Avrei giurato che uno del tuo livello lo avrebbero rinchiuso in un luogo irraggiungibile per poi gettare la chiave.»

 

«Prima di giustiziarlo davanti a tutti per sconsigliare future sommosse» commentò l’altro quasi riflettendo ad alta voce «ma un giorno li rimanderemo a casa loro. E’ certo.»

 

«Già, tu sei un patriota e hai delle certezze!»

 

«Credi che non avverrà?»

 

«Credo che per quelli come me non avrà alcuna importanza. Quanto credi interessi a un granello di sabbia del deserto da dove proviene il vento che lo sposta da un luogo a un altro?»

 

«Non ti capisco, ladro. Che vuoi dire? Ti pare giusto che degli stranieri ci tengano per la collottola?»

 

«Immagino che non sia giusto, patriota. Ma la gente comune qui nasce miserabile per vivere da miserabile in attesa di una morte miserabile. Quando la tua “Patria” si fa viva è solo per metterti un’arma addosso e mandarti a morire nelle guerre dei più facoltosi. E sempre da miserabile. Che differenza vuoi che faccia da quale parte del mondo viene il tallone del piede che ti opprime se sei destinato, per rango, ad essere oppresso?»

 

«Quindi pensi che morirò per niente?»

 

«No, spero per te che un giorno le cose cambino. Per ora e per noi disgraziati la tua sommossa ha solo significato più controlli, più nervosismo e più possibilità di bastonate. Hai scelto una strada difficile, patriota, e la devi percorrere sapendo che avrai pochi compagni e tanti nemici. Tu cammini nel futuro, noi strisciamo nel presente cercando di arrivare alla prossima ora con le ossa intere. E di non farci notare dai potenti, stranieri o locali che siano.»

 

«Hai obiettivi piccoli, ladro…»

 

«Sono gli unici che ci sono concessi, patriota.»

 

Mentre parlavano all’esterno il sole era tramontato. Il rettangolo di luce era andato sbiadendo pian piano fino a scomparire del tutto. Il buio scese nella cella assieme al silenzio tra i due uomini.

 

***

 

Il ladro ora stava in piedi appoggiato alla parete sotto la feritoia. Era stato svegliato alle prime luci dell’alba dal rumore di ferraglia dei soldati che erano venuti a prendere il patriota. Lo avevano trascinato via non risparmiandogli pugni, calci e probabilmente insulti in quella loro lingua piena di vocali.

 

L’uomo non si sbagliava a quanto pareva. Da fuori proveniva un brusio che era andato aumentando insieme alla luce del giorno.

 

«La moltitudine delle grandi occasioni…» pensò il ladro.

 

In realtà gli dispiaceva per il patriota. «Essere miserabili non vieta di avere anche speranze per i disgraziati che verranno.» Non poteva evitare una punta di ammirazione per il coraggio di quell’uomo che aveva sogni così più grandi del suo unico desiderio di essere rilasciato prima della festa incombente.

 

Dalla feritoia arrivò il boato della folla.

 

«Hanno portato fuori il patriota» suppose e lo immaginò spinto dalle picche delle lance dei soldati ed esposto alla barbarie del popolo urlante.

 

Il silenzio improvviso che seguì significava sicuramente che era apparso un funzionario degli invasori pronto a rivendicare il successo e l’infallibilità della sua gente. Vista l’importanza del condannato magari era addirittura il Procuratore.

 

Si alzò sulle punte per essere più vicino all’apertura del muro e cercare di udire le parole del funzionario che immaginava severe e intrise di trionfalismo.

 

«Povero idealista» mormorò rivolto al patriota prossimo al sacrificio mentre all’esterno la voce stentorea del legato romano ricordava che era il giorno della Pasqua ebraica.

 

Poi rimase lì, appoggiato al muro con la bocca aperta quando, sorpreso, udì chiaramente la conclusione del discorso del Procuratore:

 

«Chi volete che vi liberi? Barabba o Gesù detto Cristo?»

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