Capitolo 3: L'uomo dagli occhi gentili

 

Il villaggio sembrava respirare con un ritmo più lento. L’aria era tersa, il cielo chiazzato di nuvole bianche, leggere come farina setacciata. Il suono regolare della sega nella bottega del falegname, il tintinnare dei secchi alla fontana e lo scricchiolio delle ruote del carro del mugnaio componevano una melodia modesta e familiare.

Le donne si muovevano tra i vicoli con gesti misurati, come se ogni passo fosse il riflesso di un’abitudine ben radicata. Chi portava erbe, chi pane, chi lavava. La guerra sembrava lontana, per un momento almeno, nascosta dietro la montagna. Il villaggio non aveva nome sulla mappa, ma dentro le sue pietre sopravviveva qualcosa che la guerra non aveva ancora spezzato.

Caterina era piegata su una cesta di biancheria da stendere, le mani arrossate dall’acqua fredda. Accanto a lei, Maria contava a bassa voce delle bende da cucire. Un gruppo di bambini correva poco più in là, vociando tra le case mezze diroccate. Tutto sembrava avvolto da un fragile equilibrio.

Dapprima nessuno notò la figura che barcollava sulla via principale, provenendo dal sentiero dell’orto vecchio. Era lontana, sfuocata dal sole di taglio. Qualcuno smise di lavorare e sollevò lo sguardo. L’uomo avanzava a fatica, trascinando una gamba, con la camicia strappata e il viso coperto di polvere.

Un attimo dopo crollò. Come un sacco senza ossa. Un tonfo secco, distante, che ruppe il silenzio sommesso del villaggio.

Le prime a muoversi furono due donne anziane, che si fermarono subito dopo pochi passi. Poi apparve Teresa, correndo. Maria lasciò cadere le bende e guardò Caterina, che aveva abbandonato la cesta e si avvicinava a lui in fretta.

Si raccolsero attorno a lui. Il corpo era rigido, ma vivo. Respirava, anche se in modo affannoso. Era sporco, emaciato, un braccio bendato con uno straccio zuppo di sangue secco. Capelli scuri, zigomi scavati. Non sembrava armato. Ma nessuno parlò.

«Chi è?» chiese una voce alle spalle.

«Non lo so». Caterina si inginocchiò e gli sfiorò il collo. Sentì le pulsazioni, lente ma presenti. Poi lui aprì appena gli occhi. Chiari. Dolenti. Gentili, pensò lei d’istinto.

Lui cercò di parlare, ma gli uscì solo un sussurro:

«Acqua… per favore».

Caterina non rispose. Gli bagnò le labbra con un fazzoletto. Lui chiuse di nuovo gli occhi, come un animale ferito che si arrende.

Nella piazzetta era calato il silenzio. L’uomo giaceva a terra. Caterina gli era già accovacciata accanto. Alle sue spalle, una dopo l’altra, erano arrivate le altre sorelle.

«Respira,» disse piano. «Ma è sfinito».

Maria incrociò le braccia, lo sguardo duro. «Non lo conosciamo. Non possiamo permetterci di farci carico di uno sconosciuto. Non sappiamo nemmeno da dove venga».

Teresa scosse il capo. «Non possiamo rischiare. Forse lo stanno cercando, potrebbe essere un pericolo per noi e per il villaggio».

Giuseppina annuì. «Non è il momento di fare le caritatevoli. Dovremmo portarlo in un villaggio vicino e lasciarlo al suo destino. Come ha detto Maria: non è affar nostro».

«Oppure sì,» disse Luigia, con voce incerta. «Ha l’aspetto di uno che ha marciato a lungo, forse un disertore… ma sembra a pezzi. Lo guardate bene? Non è un pericolo».

Tutte si voltarono quando Rosa parlò, quasi sottovoce, con lo sguardo fisso sull’uomo a terra:

«Certe volte non si scappa per quello che si è fatto, ma per quello che si è visto. O per quello che si teme.»

Si fece un attimo di silenzio. Alcune la guardarono, altre finsero di non aver sentito.

«Non auguro a nessuna di voi di dover fuggire. Una fuga disperata, con addosso tutto il peso del mondo, e sperare che qualcuno, anche solo per un istante, ti lasci riprendere fiato».

Non aggiunse altro. Ma bastava così.

Caterina abbassò lo sguardo sul viso smunto dell’uomo. Restò in silenzio per un attimo, poi parlò con dolcezza, ma con decisione:

«Non possiamo abbandonarlo. È troppo malridotto per essere un pericolo. Lo curiamo. Poi andrà via, se vorrà».

Nessuna obiettò più. Anche Maria si limitò a sbuffare, ma accettò.

Lo portarono in casa e lo stesero sul letto della stanza degli ospiti, una branda coperta da una coperta ruvida di lana. I suoi abiti erano logori, la pelle sporca, le dita ferite. Maria iniziò a sfilargli piano la camicia incrostata.

«Ma che fai, lo spogli?» sbottò Teresa.

Maria non alzò nemmeno lo sguardo. «Se vogliamo lavarlo, le vesti devono venire via. E poi, Teresa, sono sposata e ho cresciuto due figli maschi. Non c’è niente qui che non abbia già visto».

Teresa borbottò qualcosa, ma si voltò.

Maria immerse la spugna nel catino, iniziando a passargliela con gesti lenti sul petto magro. Nessuno parlava più.

E Caterina, osservandolo da vicino per la prima volta, pensò che sì, forse c’era qualcosa, dietro quella fronte febbrile e quegli occhi chiusi, qualcosa di gentile, o almeno non ancora spento.

Le mani di Maria si muovevano con sicurezza, intingendo la spugna nella bacinella d’acqua tiepida e passandola con cura sulla pelle dell’uomo. I suoi abiti sdruciti giacevano in un mucchio scuro accanto alla porta. Il torace nudo, scavato ma ancora forte, si sollevava appena a ogni respiro. Caterina restava in piedi accanto alla finestra, le dita intrecciate davanti al grembo.

Non era la prima volta che vedeva un uomo nudo, ma c’era qualcosa, in quel corpo martoriato ma vivo, che la turbava.

Aveva gli occhi fissi sul pavimento, eppure la mente continuava a tornare là, a quel petto segnato da graffi, a quelle mani gonfie e sporche, alle labbra spaccate che si muovevano appena, come se cercassero parole in sogno. Si rimproverava quel fremito interno, quella stretta allo stomaco che non aveva nulla a che fare con la pietà.

«Puoi tenergli ferma la testa, per favore?» chiese Maria, senza alzare lo sguardo.

Caterina fece un passo avanti, si chinò. La pelle dell’uomo era calda sotto le dita, ruvida e umana. All’improvviso le parve di non sapere più che cosa pensare. In quell’attimo, la stanza le sembrò troppo piccola, l’aria pesante, le pareti vicine.

Si costrinse a guardarlo in volto: c’era dolcezza, sì, ma anche qualcosa di opaco, uno strato che il sonno non riusciva a sciogliere. Chissà chi era, davvero. Chissà da quali fantasmi fuggiva. E perché, tra tutte, era toccato a lei sentirsi così turbata.

 



 



 


 





 

 

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