C.K. svoltò frettolosamente l’angolo e si bloccò osservando contrariato i due marciapiedi del vicolo.

 

«Ci risiamo di nuovo» mormorò rivolto a sé stesso. «Comincia a diventare un problema!» Girò sui tacchi e proseguì a passo veloce sulla strada principale in mezzo alla folla dell’orario di punta. «Ce ne dovrebbe essere un’altra tra cinque traverse» pensava mentre cercava di non rallentare l’andatura nell’evitare gli altri pedoni, «ma se continua questa storia perderò sempre più tempo mentre la tempestività è fondamentale. Arrivare tardi può rendere inutile ogni mia iniziativa».

 

Non si era mai abituato alla moltitudine di persone che sciamava nelle strade della metropoli a quasi tutte le ore. Il paragone abusato con un formicaio non lo aveva mai convinto. Osservare gli spostamenti inarrestabili delle formiche gli aveva sempre dato la forte sensazione di un ordine collettivo cui partecipano, nella loro singola e perenne dinamicità, tutti i componenti della colonia. La grande città umana invece a lui dava solo un senso di individualità disordinate in competizione con tutte le altre individualità. Una gara continua tenuta a malapena a bada da semafori, strisce pedonali e marciapiedi. «Ma forse dipende solo dall’essere cresciuto nella tranquillità dei campi del Kansas e sono io che esagero» si disse senza la minima convinzione.

 

Continuando a cercare di evitare scontri con la parte di umanità diretta nella direzione di marcia opposta alla sua, C.K. superò a passo veloce le prime tre traverse esaminandone i marciapiedi mentre passava oltre. Come si aspettava contenevano solo pedoni in marcia. Niente di utile per lui.

 

Proseguì senza riuscire ad evitare un pizzico di nostalgia per gli anni di infanzia vissuti sotto al sole tra i campi e i granai con gli amici di allora. «Tutta un’altra vita!» mormorò. «Davvero la vita di un altro». La quarta traversa, come già sapeva, non diede migliori risultati delle precedenti. «Spero di ricordare bene. E che non ci siano stati cambiamenti anche qui» si augurò mentre percorreva a grandi passi il tratto prospicente la lunga facciata dell’ultimo palazzo prima del prossimo incrocio.

 

«Potrei andare molto più veloce di così, ed è una vera sofferenza dovermi trattenere, ma accelerare attirerebbe l’attenzione ed è l’ultima cosa desiderabile. Tanto varrebbe spogliarmi qui, davanti a tutti. Otterrei lo stesso scalpore!» Quel pensiero gli fece affiorare un sorriso divertito sulle labbra mentre girava l’angolo della quinta traversa. La momentanea allegria fu sostituita dalla delusione non appena si rese conto che anche quei due marciapiedi erano solo pieni di gente più un paio di onnipresenti idranti rossi. Non c’era altro.

 

«Accidenti!» Non riuscì a trattenersi e lo disse ad alta voce facendo sobbalzare le persone più vicine, bloccate come lui da un semaforo rosso, che iniziarono ad osservarlo con circospezione. Sfoggiò il suo più rassicurante sorriso per tranquillizzarli. Anche se aveva sempre un’espressione mite, sottolineata dai grandi occhiali e dall’immancabile completo elegante e cravatta, C.K. era comunque un uomo più alto del normale e con un fisico prestante. Poteva incutere qualche timore.

 

Il sorriso fu sufficiente a sciogliere la tensione degli astanti che smisero di tenerlo d’occhio e tornarono a rivolgere la loro attenzione al colore del semaforo, di nuovo pronti allo scatto. C.K. tornò alle sue considerazioni negative, ma solo nella sua testa: «Maledizione. È sempre più complicato. Le stanno togliendo ovunque. Appare chiaro che tra le mie tante capacità speciali non compaiono la comprensione del futuro o l’intuizione delle tendenze».

 

In effetti era stato sicuramente uno dei primi ad assistere alla comparsa delle pesanti valigette contenenti i progenitori dei telefoni mobili e sfoggiate da “quelli che contavano”. Allora non sospettò neanche lontanamente che la diffusione dei nipotini di quei dinosauri della comunicazione avrebbe creato problemi alle sue attività; che decenni dopo tutti sarebbero andati in giro con il loro telefono personale parlando a voce alta, apparentemente da soli, eliminando il bisogno di cabine telefoniche. Al giorno d’oggi chi ne poteva sentire la mancanza visto che ne aveva una, portatile, in tasca?

 

Beh, invece uno c’era. Uno solo in tutta quella smisurata megalopoli.

 

Clark Kent abbassò lo sguardo ignorando il semaforo divenuto verde da un po’. Sospirò e disse a se stesso: «È tempo che Superman cambi le sue abitudini!»

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