Nessuna insegna all'esterno del vecchio portone in ferro battuto, nessun campanello e quell'odore stantio e persistente di sigarette e alcolici che impregna l'aria circostante. È un condominio fatiscente, dicono che qualcuno abiti ancora, invisibile, all'ultimo piano di un vecchio scalone. Per entrare nella "Cripta" non puoi suonare, devi picchiare con una esatta sequenza sul batacchio arrugginito a forma di testa di leone: due colpi poi pausa, poi altri cinque colpi. Attendi qualche minuto, avverti spostarsi di lato lo spioncino interno, un occhio ti scruta per riconoscerti, dopodiché entri. Se nessuno ti conosce, invece, dalla via laterale arrivano due uomini uno più grosso dell'altro, silenziosi, nonostante la massiccia corporatura e con magliette nere a mezze maniche anche in inverno, quando le persone normali indossano cappotti e guanti, e con jeans attillati che mettono in risalto le generose proprietà. Uno davanti e uno dietro, nel caso avessi intenzione di filartela senza le dovute spiegazioni e presentazioni. Poche parole, occhi fissi su di te, una rapida perquisizione e se passi l'esame entri, se non lo passi peggio per te, dovevi restare a casa tua. La “cripta” è nel seminterrato, nel girone dell'inferno, una decina di gradini, una porta chiusa.

Una volta aperta, entri nel regno. Il regno del gioco, il regno del poker.

Alle pareti tracce di tappezzeria un tempo rosso sangue, oggi fogli scollati che scodinzolano in una tinta indefinibile, evidenziando crepe vistose nel muro; una decina di tavoli e mazzi di carte a non finire. C'è pure un angolo bar, una panca assiepata di qualche bottiglia di whisky e superalcolici mezzi vuoti e bicchieri che chissà quante disperazione hanno accolto da bocche impastate di sonno, fiati e bestemmie, tra una sigaretta e l'altra. Se li guardi in controluce vedi ancora il profilo opaco di innumerevoli bocche.

Stasera c'è il tutto esaurito, con il brusio delle fiches che si muovono tra le dita, come rosari nelle anime dei dannati.

Nel tavolo centrale, quello riservato ai più acerrimi giocatori, cinque persone, ognuna con un soprannome:

“Il Dottore”, impeccabile nel suo completo grigio fumo, mani sottili e occhi fendenti come rasoi. Radiato dall'ordine dei medici e con una serie di processi ancora in pendenza.

“La francese”, carismatica e spietata. Un sorriso ipnotico che stenderebbe chiunque, entrata nel mondo del poker attraverso le bische di Marsiglia dalle quali è scappata per debiti non onorati. Una capacità incredibile, fredda e logica, di percepire attraverso un minimo movimento o spasmo del volto le condizioni degli avversari. Le basta un respiro trattenuto o un sopracciglio inarcato, una ruga in più, per capire.

Non sbaglia mai.

“Il prete”, scomunicato per eresia contro lo Spirito Santo durante un'omelia particolarmente infervorata e convertito al gioco, indossa ancora il colletto bianco come una reliquia storta e profana e nei suoi bluff cita versi della Bibbia che creano disagio anche ai più cinici giocatori mettendoli in confusione.

“L'americano”, entra, gioca ed esce, firmando il più delle volte dei “pagherò”. Sempre con occhiali scuri, nascondiglio per gli occhi rossi a furia di sniffare coca. Fuma tantissimo e beve acqua tonica che si porta da casa.

E infine "Mimmo", l'unico del quale è noto il nome, il proprietario della “Cripta”, non gioca solo per vincere: gioca per osservare. È lui a far girare le fiches, a controllare le carte, a chiamare i suoi sgherri in maglietta nera a mezze maniche anche in inverno, con un cenno del capo, quando si accorge che qualcuno prova a fare il furbo.

Sorride solo quando vede un giocatore in difficoltà, nel tipico gesto di sbottonarsi il colletto della camicia mentre suda freddo.

 

Questa notte, il piatto è una piccola fortuna: 80.000 euro in contanti, una chiave d’auto con il logo della BMW e una lettera firmata — mai aperta — che “La francese” ha messo nel piatto, senza spiegare nulla, ma che tutti al tavolo hanno accettato, mossi da chissà quale morbosa curiosità.

 

L’atmosfera è tesa come una corda di violino, il silenzio totale, in un'apnea di respiri mancanti, i giocatori degli altri tavoli hanno smesso di giocare, depositando le carte coperte sul piano di gioco.

Hanno capito che si gioca la partita clou della nottata: ogni carta pescata e girata è un colpo al cuore, ogni attimo, una preghiera o una maledizione.

 

All’ultima mano, “Il dottore” fa all-in, giocandosi il tutto per tutto.

“La francese” lo guarda, sorride e come un ventaglio aperto, depone le proprie carte, petali malinconici, sul tavolo.

Scala colore.

 

Il silenzio è sacro. Persino “Il prete” si fa il segno della croce, nessuno fiata, in una trance ludica e maledetta che si porta via le speranze disilluse. “Mimmo” il padrone della squallida bisca trangugia un bicchiere intero di alcol, senza alcuna reazione.

 

“La francese” raccoglie i contanti, la chiave, il denaro, e la lettera, si alza ed esce dal girone dantesco.

Vincere significa solo una cosa: vivere abbastanza per la prossima notte, per la prossima partita.

 

Grazie per avermi ascoltato

 

 

 

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