All’alba, quando la Senna dorme ancora sotto un velo di nebbia leggera, scendo piano verso la riva. La barca mi attende, inclinata sulla riva del fiume come un animale spiaggiato. A volte penso che la mia anima assomigli a questa barca: fragile, irrequieta e arenata allo stesso modo. Così sono. Da una parte la mia carne, che chiede sole, donne, vino e sudore; dall’altra, la mente, che pretende silenzio, regole, e il sacrificio delle ore davanti a un foglio bianco...  Da sempre, dentro di me, c’è una bussola che punta verso l’abisso.

Salgo, mi siedo, affondo i remi nell’acqua irrequieta, piena di mulinelli. Il primo colpo rompe il silenzio, e un brivido mi attraversa: il fiume si desta inquieto. Il cielo, vibrante di primavera, si specchia sulla superficie viva. La felicità che mi prende è feroce, quasi insopportabile: perché mai la bellezza deve fare male? L’acqua scorre lenta, il sonnolento respiro della città si mescola a quello selvatico della natura. Dalle rive sale un odore d’erba umida, i battelli risplendono al sole come lame di luce, e i gabbiani volteggiano e risalgono nell’aria.

Rema, mi dico, rema.

E mentre lo faccio, mi viene in mente l’incontro di qualche giorno fa con “lui”. 

Ero andato a casa sua a Croisset, a qualche chilometro dal centro di Rouen, perché mi voleva parlare. Ricordo il fuoco che ardeva lento nel camino dello studio. L’odore di carta e d’inchiostro si mescolava a quello del tabacco, creando un’aria densa, quasi sacra. Sedevo rigido davanti a lui, cercando di nascondere l’irrequietezza che mi agitava le mani. Mi osservava da sopra gli occhiali, con quel suo volto severo e il corpo massiccio che pareva debordare dalla poltrona. 

«Tu scrivi bene, ragazzo,» mi disse con voce grave, «ma ti disperdi. Le donne di notte, i giorni in canoa… tutto questo ti divora. Se vuoi scrivere davvero, devi rinunciare a queste frivolezze. Per costruire la frase perfetta bisogna sottomettersi a una disciplina ferrea.»

Le sue parole mi ferirono e mi entusiasmarono insieme. Mi sentii ribollire, come se dovessi difendere la mia stessa esistenza.

«La frase perfetta sì… Ma la vita, maestro? Io non riesco a scrivere se non dopo averla sentita nelle vene… la vita!»

Sbatté il pugno sulla scrivania, e il rumore rimbombò nello stanza come un colpo di fucile.

«No, ti ho fatto venire qui per chiarirti una volta per tutte quello che intendo per scrittura…  Vedi, te lo voglio chiarire senza panegirici, sono sicuro capirai meglio senza troppe spiegazioni: la scrittura è una puttana!”

Non riuscii a credere alle mie orecchie, di solito parlava forbito non si era mai lasciato andare a espressione colorite, tantomeno volgari come aveva appena fatto.

“Scusi maestro non devo aver capito …”

“Hai capito benissimo invece, non fare il finto tonto… La scrittura è una puttana, la più grande, la migliore che si possa avere, non quelle alle quali rincorri e per le quali sprechi il tuo talento.”

“Ora ho capito maestro.”

“Allora vuoi dire che seguirai i miei consigli? Mi complimento con te.” 

Mi tese una mano che strinsi prontamente.

Abbassai lo sguardo e dissi: 

«Non voglio litigare, maestro. Le sue parole le porto nel cuore, ma non sono fatto come lei. Lei si è chiuso alla vita per forgiare le sue frasi; io invece ho bisogno del rumore, del vento sul corpo, delle cose che si vedono ma che soprattutto si sentono!»

Sotto i baffi gli comparve un sorriso ironico.

«E credi che la natura ti darà ciò che l’arte nega?»

«La mia natura è la mia arte,» risposi senza esitazione. «La sensualità, il piacere, la forza dei muscoli quando il remo fende l’acqua… tutto questo mi fa sentire uomo, solo allora mi arrivano le parole che cerco.»

«Fai come vuoi, Guy,» disse infine. «Ma ricordati: chi segue la natura, spesso smarrisce  per strada.»

Mi alzai e gli feci un leggero inchino.

«Forse. Ma io preferisco perdermi da vivo che salvarmi da morto.»

Calcai il cappello e uscii nel cortile umido e grigio. 

Dietro di me solo il crepitio del fuoco e lo sguardo del maestro che mi seguiva. L’aria era fredda, ma in me ardeva qualcosa che nessuna disciplina avrebbe potuto spegnere.

“Devi perdonarmi maestro, ma devo seguire la mia indole. Sono figlio della natura e devo assecondarla, non posso esimermi dal farlo”. 

La mia mente ricomincia a lavorare… 

Che cos’è dunque questa felicità feroce di un mattino sulla Senna, quando il fiume inquieto riflette un cielo che presagisce primavera? Perché mai l’acqua, scorrendo lenta e viva sotto i ponti, suscita in me questa dolce vertigine, questa ebrezza oscura che mi prende come un delirio antico, come un richiamo selvaggio?

Io, in mezzo a tutto ciò, non sono più uomo: amo il cielo con fame d’uccello, la foresta con smania di lupo, le rocce come il camoscio che fugge, l’erba per rotolarmici nudo e ansante, l’acqua chiara per sparire in essa come un pesce lucente… Dentro di me fremono le stirpi mute della Terra. Fremono le zampe, le ali, le pinne… Fremono gli antichi istinti, i desideri confusi, la voce segreta che viene dal fondo dei boschi e che chiama, chiama senza fine la voce del fauno che si ridesta nel cuore dell’uomo.

Io amo la natura come si ama una donna, con rispetto e con desiderio. 

 

 

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