Dopo una lunga notte di sonno, Devon Sinclair si sentiva fresco, energico, perfettamente riposato. Eppure indugiava, senza pigrizia, fra le fresche lenzuola di lino, con il braccio destro abbandonato su un lato del letto, ancora caldo del corpo di lei. La voce di Ileana, che cantava sommessa nella stanza attigua, si mescolava felicemente con il vivace cinguettio che proveniva dalla grande finestra, aperta sul giardino. Le coltri gli restituivano ancora il suo profumo inebriante e nemmeno la consapevolezza di dover arrivare alle scuderie prima di lei aveva il potere di sottrarlo al rapimento di quel momento così perfetto, e così felice.

Quando Ileana, poco dopo, smise di cantare, l’incantesimo iniziò ad affievolirsi. Infine, quand’ella con un bacio gli sfiorò la fronte, l’illusione svanì del tutto, e Devon aprì gli occhi.

Lei era china su di lui, bellissima, perfettamente in ordine nella sua tenuta da amazzone, con i capelli raccolti in una crocchia elegante e squisitamente modellata. Nonostante questo, non pago della notte appena trascorsa, egli provò a cingerle la vita per trascinarla di nuovo a sé.

«Non pensateci nemmeno, signore», diss’ella divertita, «Le scuderie ci aspettano, e vi rammento che mi avevate fatto una promessa. O intendete rimangiarvela?»

Devon balzò giù dal letto con una mossa veloce e agile. Afferrati i pantaloni, che giacevano abbandonati su una sedia presso il comodino, si diresse verso la stanza da bagno. Prima di sparire alla vista di lei, voltò il capo e le disse in un sussurro: «Non sia mai detto, mia signora. I Sinclair hanno una sola parola, ricordatevelo sempre.»

 

Quando Ileana ebbe finito di contare fin0 a sessantadue (già a trenta aveva iniziato a sospettare che cento fosse una cifra irragionevole) ruppe gli indugi ed entrò nella scuderia.

Poco mancò che cacciasse un urlo: un frisone bianco, fiero e maestoso, l’attendeva al centro della stalla, trattenuto al morso dal palafreniere di suo padre. Incapace di proferir verbo, non si accorse di Devon, che la raggiunse alle spalle e si fermò di fianco a lei.

«Che cosa ve ne sembra?» domandò.

Ileana annuì convinta, mordendosi il labbro.

«È bellissimo», rispose.

«È vostro» le disse all’orecchio.

Ileana lo guardò, emozionata e incredula, e lui, sorridendo amabilmente, la invitò con un gesto ad avvicinarsi al cavallo.

Devon la seguì, ma si tenne a qualche passo di distanza: mentre Ileana osservava l’animale, lo accarezzava e lo faceva abituare a lei, lui si godeva felice tutta la scena, completamente soddisfatto di aver potuto regalare un momento di così perfetta bellezza alla donna che amava al di sopra di ogni cosa.

 

Quella mattina tardo primaverile, la campagna inglese era benedetta da un cielo singolarmente terso, e da un sole che regalava con garbo i suoi tiepidi raggi alla natura in fiore. In quell’aria così fresca e piena di profumi, Ileana e Devon spronarono le loro cavalcature, cavalcando spensierati fra valli e colline, ciascuno con un occhio verso la strada e uno verso l’amato.

Giunsero presso la ferrovia proprio mentre stava transitando un lento convoglio, trainato da una rumorosa e sbuffante locomotiva a vapore. Devon ne approfittò per rallentare il passo, per dar modo ai cavalli di riprendere fiato, ma Ileana fu di diverso avviso: spronò con forza il suo frisone e superò il marito di gran carriera.

«Prendetemi, se potete!», gridò.

Colto sul vivo, Sinclair reagì spronando a sua volta il proprio cavallo andaluso e si gettò all’inseguimento. I due corsero con foga inusitata, facendo a gara col treno, in preda a un’eccitazione travolgente. Il frisone di Ileana esibì una forza e una resistenza sbalorditive, e all’inizio sembrò persino distanziare il più veloce andaluso, ma Devon sapeva di poter contare sulla tenacia del proprio cavallo, e i metri successivi dimostrarono che aveva ragione.

Ileana si voltò, affannata ma ebbra di gioia. Egli le restituì il sorriso e ne approfittò per indicarle, con un cenno del capo, di deviare a destra, verso la macchia. Dopo un cenno d’intesa, Ileana cambiò direzione, ma non accennò a rallentare: Devon le era ormai vicino e lei ci teneva a raggiungere la boscaglia vittoriosa. Quando il cavaliere e l’amazzone tirarono le redini, i cavalli schiumavano per la corsa a rotta di collo che era stata loro imposta, ma Ileana era riuscita nel suo proposito. Devon smontò agilmente e, prima di avvicinarsi per aiutarla a smontare, si produsse in un profondo inchino di compiacimento.

Ileana era in estasi: quando si rialzò, Devon rimase senza parole nel vedere sua moglie così raggiante, bella come le sembrava di non averla mai vista.

Ad un tratto ella fece qualcosa di inaspettato.

«Devon, prendetemi!» esclamò, dando mostra di lanciarsi giù dalla sella direttamente verso le braccia del suo amato.

Preso di sorpresa, Devon allungò di scatto le braccia, ma non riuscì ad afferrare sua moglie. Le sue braccia cozzarono contro un ostacolo solido e invisibile, una spanna avanti a lui, e udì nitidamente un rumore secco, come quello di una porta di legno percossa da un battente di ferro.

Trasalendo, sbatté le palpebre, e i suoi occhi tornarono a vedere ciò che realmente gli era di fronte, e tutto intorno: null'altro che una pesante e cupa tenebra.

La solitudine e il silenzio, le sue compagne in quel sonno senza fine che è la non morte, erano tornate, dopo l’inganno di un momento, a tormentarlo nella tomba in cui era prigioniero. Lui ed esse, per sempre, in un viaggio che durava… da quanto? Anni, forse, o secoli addirittura.

Digrignò i denti acuminati, e si dominò per contenere la rabbia che, ne era certo, lo avrebbe condotto alla follia. Scacciò l’ultimo ricordo di sua moglie, immobile sul talamo nuziale, con gli occhi vitrei e immersa in un lago di sangue, e maledisse con tutto il suo freddo cuore il nome odioso del Principe dei Carpazi che, dopo avergli tolto tutto, aveva fatto di lui un vampiro.

 

[NdA: Già pubblicata sulla raccolta "Penny Steampunk" sotto pseudonimo]

 

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