Ora, era intenta a cercare di capire dove diavolo si trovasse. O dove il Diavolo, l'avesse portata. Non riusciva a trovare una risposta, e il dolore le pulsava, come una vena in attesa di scoppiare in grumi di sangue e di morte.  La schiena, sulla quale le sembrava fosse passato sopra un camion, più volte facendo retromarcia, aderiva perfettamente a quel muro squallido e pietroso. Sentiva una miriade di aghi conficcati nella pelle, dalla quale sgorgavano gocce di sangue rubino, di cui sentiva il sapore in bocca, acido e metallico. Percepiva la frattura di alcune ossa, ma non sapeva identificare in quale parte del corpo si fossero spezzate. O forse era solo la sua immaginazione, come le avevano sempre detto i suoi genitori e i medici. 
“Signorina, lei è un caso da manuale, è una perfetta ipocondriaca, una malata immaginaria alla Moliere. Non sarà come gli altri drogati che fingono malesseri, in cerca di un po' di morfina?”. 
“No! Ma perchè nessuno mi vuole dare ascolto, io sto male!”, così aveva risposto tutte le volte che si era recata al pronto soccorso, in preda a dolori lancinanti. Ma di solito la rispedivano a casa, burlandosi di lei; al massimo le prescrivevano un blando antidolorifico o un'aspirina. 
Come era finita lì? La cosa che più la inquietò era che si sentiva incatenata eppure non vedeva traccia di alcuna catena. Com'era possibile?  Un attimo prima si trovava nel suo lurido ufficio, in quella lurida scrivania, a ricopiare quelle noiose referenze che le aveva lasciato il suo capo, in pila le une sulle altre. Poi era stata catapultata lì, forse perchè non aveva svolto il suo lavoro alla perfezione, l'avevano punita in quel modo? 
Tutto il corpo le doleva, di un dolore acuto e sordo che non poteva avere sollievo, dato che era solo frutto della sua mente, ma sembrava così reale... 
“Perchè mi fate questo bastardi? Perchè?”, urlò nel vuoto, e quelle sue grida echeggiarono nella cantina umida e ammuffita, disperdendosi nell'aria senza ossigeno. Ma nessuno rispose, allora con tutto il fiato che aveva nei polmoni, emise un altro disperato grido che sembrava provenire dall'inferno. In effetti quel posto ne aveva tutte le sembianze, sebbene nessuno possa affermare con certezza come esso sia fatto. Ma sicuramente la vita, forniva delle prove schiaccianti della sua esistenza. Finalmente qualcuno rispose, “nessuno può aiutarti, sei tu che devi aiutarti da sola.” La voce emerse dal buio ed aveva un tono decisamente spettrale e grottesco. 
“Chi sei? Non hai neanche il coraggio di farti vedere, vigliacco!”, cercò di divincolarsi da quelle catene invisibili, ma gli spilli aumentavano sempre di più. Ripiombò quel silenzio irreale che aveva preceduto le grida, e poi la voce demoniaca si propagò con violenza, tra le mura di quella cantina, sibilando.
“Sono io ad aver ucciso i tuoi genitori, ricordi? Sei tu che mi hai invocato, ma data la tua ignoranza, probabilmente non sapevi neanche quello che stavi facendo. Stupida ragazzina! Ma sono contento che tu l'abbia fatto. Ora la tua anima sarà mia per sempre e farai tutto quello che ti ordinerò. Sono stato chiaro? Altrimenti morirai. Ti concedo la vita, che avrà la durata di quella di qualsiasi essere umano, a patto che tu lavori per me”. 
“Liberami e farò tutto quello che vuoi, questo dolore è insopportabile!”, si pentì di essersi prostrata a quell'autorità, come facevano i suoi genitori; come facevano tutti. Ma capì che per sopravvivere era necessario farlo. 
“Vedo che hai imparato la lezione, nella vita bisogna fare dei compromessi. Tu hai voluto che uccidessi i tuoi, ho ascoltato le tue preghiere bambina. Ho provocato io quell'incidente stradale che li ha falciati entrambi...”
“...quei mostri, non era così che li chiamavi? E quel pover'uomo al volante, ora è in cella senza sapere che diavolo sia successo”.
Alice tremava, piangeva, si dimenava, ma ciò non faceva altro che aumentare il suo dolore. Il mostro continuò : 
“Credo che avrò molte soddisfazioni con te, allora lavorerai per me?” 
Le uscirono dalla bocca, parole che non aveva pensato, ma che le erano state indotte forse dal dolore, o più precisamente da quell'entità. Non si era mai palesata e non poteva vederne l'aspetto, ma sapeva di essere davanti a qualcosa di mostruoso che l'avrebbe inghiottita, per poi vomitarla nella realtà da tutti conosciuta. Ma c'era un prezzo da pagare, la sua anima.
“Si, padrone”. 
“Così sia, ora appartieni a me. Ci rivediamo nel prossimo incubo.”
La voce dell'entità si dissolse, così come quelle catene invisibili. Finalmente fu liberata, ma si ritrovò in una prigione ben più insidiosa. La realtà ritornò ad essere quella di un tempo; era ancora sfuocata e dovette compiere uno sforzo sovrumano per mettere a fuoco tutti gli oggetti attorno a lei. Tutto era avvolto da un lenzuolo bianco, lattiginoso e amorfo. 
Non le era chiaro se fosse ritornata in vita o se si trovasse all'inferno; la differenza tra le due cose le appariva confusa, così come quella tra la realtà e la fantasia. Ma aveva riaperto gli occhi e si era ritrovata stesa sul lettino. 
“Alice, finalmente sei tornata tra noi! Pensavamo di averti persa. Sei svenuta e ti ho portato personalmente qui all'ospedale. Mi dispiace che tu l'abbia presa in questo modo, ma nonostante sia andata così, ci tenevo ad assisterti. Come ti senti?”, era il suo datore di lavoro. 
Perchè faceva il gentile, non riusciva a spiegarselo, dato che si comportava da vero stronzo sul lavoro, trattandola al pari di una schiava. All'improvviso le sovvenne alla memoria, ciò che era successo prima dello svenimento : era stata licenziata.
“Sto bene. Mi scusi, può avvicinarsi un attimo?”
Il capo fu sorpreso dalla sua richiesta, ma acconsentì. La sua bocca si avvicinò sempre di più a quella della sua segretaria. Era così carnosa e sensuale; non poteva resisterle, sentiva un estremo impulso a baciare quelle labbra, sebbene l'avesse sempre giudicata un essere inferiore. Ma in quel momento dimenticò i suoi pregiudizi, Alice gli porse le labbra e lui le aprì : la sua anima fu risucchiata; poi l'uomo cadde tramortito e morì. E sarebbe stato il primo di una lunga lista; Alice finalmente si era liberata dalle sue catene invisibili. 

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