1)

Amara corrente in cui mi trovo,
quando i dì ansimano nel giogo
d’una società meschina:
maschera, trucco e brillantina.
Se mi vedrai vagar in solitaria,
magari col muso oscurato,
‘n po’ scrostato ma no abbattuto,
sorridi e viemmi ad abbracciare.
Per tanto e tanto tempo,
spingi lenta la tua anima
e più stringi più mi tingi
più mi tingi più si evapora,
e maggior che noi s’evapora
niente
rimane tra le bestie.
Che vorrebbero sbavar su di me
ma non glielo permetto.

Non sono loro preda, non stasera.
Tu? Tu non so.
Tu sei preda, ma un po’ ci spero
che un giorno presa dal tuo nero,
dal tuo cupo, incontri il mio
gli sorridi
e abbraccia aperto.

Vorrei piangere per le bestie,
per me che non le tollero
per te che lo sei e non me ne capacito
per le piccole stronzate in cui fagocito
ogni grumo della vita che dà astio,
l’ansia che mi provoca tutto il resto.
Ciò che faccio,
che non faccio.
Questi sfoghi,
su fogli numerosi che bruceranno
tra le fiamme della memoria dimenticata,
nel ricordo inutilizzato
del vuoto.
Vorrei piangere
ma non lo provo:
un giorno
sarò vuoto,
nel frattempo
sono vuoto.

 

 

2)

Le nuvole ballerine fan qua e là fin già d’aprile,
‘n po’ son nere, ‘n po’ se ‘n vanno
e il sereno po’ uscire.

Or ch’è Giugno mi sembra ch’io ne sia insieme:
bello plumbeo che manco sol’ di pioggia,
oppure foggio, e ballo col sole.

Che sia la primavera?
ch’è solo un modo per dire:
guarda! Non è ancora sera!
Poi però vien l’imbrunire,
e non è ancora primavera?
No.

La sera, no,
è solo sera:
me l’ho goduta, e mo’
ch’è notte scura e ‘ntorbidata,
me ne sto,
tra ‘n sogno e ‘na paura.

Come le nuvole:
o ballano favole,
o tessono trappole.

 

 

3)

Il gigante che mi abita,
che quando sarà lapide
sar’anche statua,
pompato neanche d’amor proprio
ma di ego, il me gigante,
fantasia tiepida.
Quel gigante pensa in grande,
vede fama, appagamento,
pensa d’esser già arrivato.
Or se lo metto in fronte a un altro,
che magari n’è gigante ma sol ragazzo,
laureato, già avviato,
sembra d’esser sorridente.
 

Quel gigante si fa nano,
si ricrede d’esser nato,
pensa pure che sia vano
ogni pensiero c’ha già dato.
Così ‘l nano prende per mano
il gigante e se lo stritola
per tenerselo a lui, s’avvinghia,
alla cintola se lo lega
per non perderlo, l’accinghia.
Ormai uni se ne vanno,
il nano ed il gigante,
che mi abitano, in affanno,
tra una carezza e un montante.

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