Al gate 4, un cartello con tre enormi e sfrontate ics rosse e due gambe nude che terminavano in un paio di Stan Smith erano lì per lui. Tre baci per l’atteso e l’attendente, espliciti emblemi di attività sessuale per gli altri che vi leggevano il neon lampeggiante “ecsecsecs”. 

Le si avvicinò, sollevò i talloni di qualche centimetro. Si respirarono ad occhi chiusi sfiorandosi appena con le labbra, per un attimo.

Castalia sbattendo più volte le palpebre esclamò “Wow!” – contraendo il diaframma. Anche Andrea, ritornato con i piedi per terra, riprese fiato.
Lo prese per mano, come dieci anni prima.

La vecchia Golf cl 3 porte, una volta rosso amaranto presentava un colore rosato sulle fiancate posteriori e l’abile mano di un carrozziere daltonico aveva reso il cofano di un lucido rosso Ferrari. Solo il portellone aveva conservato il colore originario. Lo specchietto retrovisore destro era fissato al supporto da approssimative spire di un intero rotolo di nastro adesivo nero. La portiera si aprì lamentandosi. Sul cruscotto una confezione di tabacco tostato roll your own e relative cartine. Il posacenere era stracolmo. 

Con un colpo di tosse l’anziana tedesca si mise in moto. Castalia era con l’attenzione alla guida. 

Andrea, no. Il seno sobbalzava elastico ad ogni buca. Forse non indossava il reggiseno. Al collo ciondolava una conchiglia bivalve dorata. Raggiunsero via Kariatidon. Una strada in salita verso l’Acropoli ombreggiata da acacie e colorata da oleandri. Parcheggiando urtò il cordolo del marciapiede. L’appartamento si trovava all’ultimo di un edificio bianco a tre piani, all’angolo con la passeggiata Dioniso Aeropagito.
“Siamo arrivati!” – urlò aperta la porta d’ingresso.
Dal terrazzo, un odore di incenso accompagnò una ragazza dal viso sorridente, i capelli raccolti, fermati con una matita, maglietta bianca tagliata all’ombelico, piedi nudi e pantaloni larghi.
Gli tese la mano: “Dafne! Ti conosco già, tu sei l’altro idiota!” – si presentò con tono di sufficienza scherzosa. “Io vado. Ci vediamo stasera al Yiasemi”. Ricordò a Castalia baciandola sulle labbra.
“Dafne insegna yoga alla Till Dawn, una palestra qui vicino. Suo padre è ricco, molto ricco. Questa è casa sua, ma è come se fosse mia. Ci siamo conosciute nell’ospedale San Savvas. Una clinica oncologica privata in cui erano ricoverati mio padre e sua madre. Io diedi fondo ad ogni risparmio e quando non rimase neppure una dracma, Dafne convinse suo padre ad aiutarmi. Pagò tutte le spese e, tutt’ora, mi finanzia gli studi. Mio padre e sua madre mancarono lo stesso giorno. E noi siamo diventate più che amiche, più che sorelle anche se a volte ci troviamo nude in un letto. Suo padre mi invia un mazzo di rose ad ogni compleanno. È un uomo fantastico.” 

“Perché non mi hai scritto di tuo padre?” - chiesi.
“Non so. Non volevo scaricarti il mio dolore”. Andrea non replicò. 

Ancora una volta lo prese per mano. Ad Andrea piaceva come si intrecciavano le loro dita. Era il gesto più intimo. Affidarsi all’altro senza porsi domande sulla destinazione, con la semplicità dei bambini. Così si erano conosciuti e così si erano piaciuti e così si piacevano. 

Dal terrazzo si ammirava l’Acropoli. Era lì nel suo arcaico e bianco splendore. “Ecco, vedi? Quello è il tempio di…”. Andrea ammirava le sue labbra muoversi, la lingua che ogni tanto si affacciava. La prese per i fianchi e la girò verso di sé. Le chiuse la bocca con la sua. L’aroma di tabacco tostato era ancora sulla sua lingua. Le mani correvano sulla stoffa per eliminarla, per trovare un appiglio e strapparla. La frenesia si placò quando, finalmente nudi, Andrea la prese da dietro, con calma impacciata. Era ampia e calda. Chiuse gli occhi.  

“Sei dolcissimo…” – sussurrò Castalia - “…lo sapevo…”
“Ti amo…” – le disse, commosso. Riaprirono gli occhi e si strinsero in un abbraccio. Castalia sorrideva e lo baciava, lo baciava e sorrideva. “Sono felice!” – gli disse. Andrea le rispose con un sorriso.
Al Yiasemi arrivarono in taxi. Il tavolo era sulla terrazza circondata da piante di gelsomino. I tavolini nella scalinata sottostante erano illuminati da lanterne. 

L’Acropoli era lì. Bianca come la luna illuminava il cielo di Atene. Dafne era già seduta. Tra le dita una sigaretta, odorava di tabacco tostato, lo stesso aroma della lingua di Castalia.
“Allora? Che mi raccontate? Com’è il sesso tra idioti?”
“Mah, non abbiamo capito! Se vuoi partecipare la prossima volta, così ci spieghi…” – ribatté Andrea.
“Non provocarmi…potrei accettare.”
Risero. “Quindi?” – proseguì come se lui non ci fosse. Castalia le raccontò ogni movimento, ogni emozione. Anche che lui le aveva detto “Ti amo” con la voce increspata e che dopo quando lo baciava lui aveva gli occhi umidi, come se fosse commosso.
Dafne soffiò il fumo per sottolineare le emozioni.
“Siamo strani. Noi due portiamo il nome di ninfe che sfuggirono a quell’affamato di Apollo. Tu annegasti nella sorgente di Delfo che divenne fonte sacra e purificatrice. Io, invece, fui tramutata in pianta di alloro. Io senza acqua non ho vita. Senza te, non ho vita. E poi c’è lui. Dal nome virile, sinonimo di forza e mascolinità che scopa come un ragazzo inesperto e si commuove al cospetto dell’amore.”
Castalia la guardò con tenerezza: “Che fine avrebbe la mia sacralità se non potessi donarmi a te? Le tue foglie rinsecchirebbero. E io ho bisogno della tua follia, della tua capacità di osservare oltre l’orizzonte, di mostrarti rude e grezza quando mi smarrisco. Dei tuoi baci quando mi sento sola. Andrea è il terzo elemento che ci unisce. Ogni nostro scritto terminava con tre tratti incrociati come la croce decussata a cui fu inchiodato il santo miroblita. Tre croci come noi tre. Inchiodati al dolore, alla mancanza, alla paura, all’amore, ai ricordi. Andrea è l’essenza che conferma la nostra umanità, la nostra fragilità, oltre ogni conformismo, ogni squallida moralità. Dafne, io non ti ho mai detto che ti amo, ma so che tu ami me. Io vi amo entrambi, ma non perché siete speciali, perché siete parti di me ed è lo stesso per voi, credo. Capita che vi siano anime incomplete, alle quali manchi più di un pezzo.”
Due lacrime stavano scivolando sulle guance di Dafne.
Andrea le strinse la mano sinistra ed intrecciò le dita alle sue, come Castalia faceva con lui.
La mano destra di Dafne comparve da sotto il tavolo. Impugnava una piccola pistola automatica.
Due colpi in sequenza. Andrea si girò verso Castalia. Il sangue sgorgava dalla sua fronte. Poi un proiettile attraversò la sua testa da destra a sinistra, poco sopra l'orecchio. Prima del buio si volse verso Dafne, con gli occhi fermi, la vide impugnare l'arma, la canna sotto al mento, rivolta verso l’alto.
Il rumore dello sparo, avvolto dal dolce profumo dei gelsomini, concluse la serata.
Il traffico come un formicaio metallico brulicava ancora tra il frastuono di saluti, insulti, consigli e aiuti.
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